Quarantena

Oggi finisce la mia auto quarantena doveva essere un giorno di libertà ma le cose sono cambiate e sono finita da una scelta a un obbligo…ma andiamo per gradi.

Un mese fa, pensavo di aver organizzato le cose con ordine, e lo avevo fatto, per una volta lo avevo fatto sul serio, si sentiva parlare di Coronavirus ma sembrava una cosa che non ci appartenesse.

Ero già in Emilia Romagna quando per la prima volta in toni allarmati ho sentito parlare di Codogno, del Lodigiano, del primo focolaio.

La mattina seguente salivo a Milano per lavoro. Ho dormito malissimo quella notte, aspettando invano un messaggio che fermasse tutto.

Per la prima volta ho viaggiato con la paura. Arrivata ho trovato una stazione di Milano mutare con il resto delle ore, ho atteso il treno della mia collega e con il suo arrivo sono stata investita da un fiume di persone in guanti e mascherina.

Ho avuto paura.

Arrivate a casa ci siamo subito lavate le mani e salutate per bene, spontaneamente abbiamo deciso di fidarci l’una dell’altra. A distanza di giorni ringrazio questa fiducia che ci ha permesso di alleggerire i “toni” almeno dentro casa.

Dopo un giro di ricognizione siamo andate all’Esselunga a comprare qualcosa per la cena ma soprattutto “beni comuni” come: detersivo, sapone, igienizzante, carta igienica.

Abbiamo visto tanta gente e scaffali vuoti, immagini che avevo visto solo in film costruiti ad hoc.

Abbiamo avuto paura, paura che la cosa ci stesse sfuggendo di mano e che la nostra “finta” positività non bastasse a riportare tutto come era prima, persino la merce sugli scaffali.

Tornate a casa con quelle immagini negli occhi abbiamo sintonizzato la tv su uno di quei canali che mandano le notizie in loop, sia in video che in sovraimpressione.

In quel momento è iniziato il “pellegrinaggio” delle telefonate di parenti e amici, alcuni ci invitavano alla prudenza, altri ci esortavano a tornare, a tutti rispondevamo come un disco rotto di stare tranquilli, che a Milano non c’erano casi, che l’indomani ci avrebbero atteso a lavoro e avremmo capito il da farsi.

Quanto abbiamo dormito male e tese quella notte.

Il giorno seguente a lavoro speravamo di essere rassicurate e per un po’ è stato così ma poi, nel giro di qualche ora tutto è precipitato, la regione Lombardia chiudeva esercizi commerciali, le scuole e il nostro lavoro diventava a porte chiuse.

Sentitevi libere di tornare a casa, ci è stato ripetuto così tante volte da infastidirci quasi. Stoicamente siamo rimaste, con l’ansia costante che le cose potessero cambiare di minuto in minuto.

Abbiamo fatto gruppo pensando di essere le più forti o almeno così ci sentivamo in quella situazione, ma poi le tensioni hanno avuto la meglio e ogni giorno che passava, ogni giorno in cui attraversavamo una Milano deserta, ogni giorno in cui la costante era l’incognita, piano piano abbiamo perso consapevolezze.

La situazione spaventava ma solo perché la gran parte dei milanesi erano partiti per le vacanze in montagna in concomitanza con il carnevale ambrosiano. La città era vuota non per la gravità della situazione ma per una necessità di svago. Il Covid-19 non spaventava i milanesi e non li aveva fermati e ce ne accorgevamo giorno dopo giorno nel ripopolarsi dei bar per gli aperitivi, nei parchi pubblici dove non erano di certo ben chiare le misure di restrizione.

Ognuna di noi aveva lasciato qualcosa o qualcuno, in me cresceva la mancanza delle mie bimbe, di mio marito che ad ogni telefonata non nascondeva la preoccupazione, degli amici che provavano ad alleggerire la tensione.

Quante notti pesanti e quanti giorni altrettanto difficili emotivamente abbiamo vissuto. I nostri sentimenti, le nostre emozioni andavano in giostra ogni giorno, erano accucciate in vagoncini delle montagne russe a volte si reggevano forte, altre si lasciavano andare.

Trascorsa la prima settimana in cui avevamo vissuto come topi da laboratorio in un microcosmo in cui le giornate erano scandite da lavoro e casa ci siamo aperti al pubblico.

Questa apertura ci faceva presagire qualcosa di buono, volevamo leggerci che il problema stava rientrando, ma allo stesso tempo ci esponeva alla paura e al Covid-19.

Avremmo incontrato persone che avevano avuto una/ due settimane precedenti che non conoscevamo, potevano essere tutti possibili untori.

Ogni giorno all’ingresso venivamo sottoposte alla misurazione della temperatura, una forma di tutela che esorcizzavamo ma che nei secondi tra la misurazione e il verdetto ti faceva trattenere il fiato, la minima alterazione era guardata con sospetto.

Milano intanto rifioriva e piano piano ci siamo aperte anche noi, d’altronde ci “entravano in casa” a portarci l’esterno, così abbiamo cercato di viverci stando un po’ più fuori, la decompressione in un bicchiere di vino, in passeggiate chilometriche, in sessioni di shopping forzato.

Quel sabato di due settimane fa passeggiavamo in un parco, pranzavamo all’aperto in una Milano soleggiata, facevamo progetti, mancavano pochi giorni e avremmo portato a casa il risultato.

In serata la situazione è precipitata, la Lombardia era diventata di colpo zona rossa e noi ci siamo sentite improvvisamente sole e spaventate. Siamo tornate a casa con tutte le misure di sicurezza denunciandoci tutte, scegliendo come forma di rispetto e di senso civico la quarantena.

Oggi festeggiamo perché siamo sane, perché l’idea di trascorrere la quarantena con le mie figlie non è stata una delle mie solite mattate, perché nel frattempo la situazione è peggiorata in tutto il mondo e quando è esplosa la bomba ognuna di noi era “al sicuro”.

Non vedo mio marito da un mese, non esco da due settimane e non lo farò ancora per molto perché dalla scelta sono scivolata in maniera silenziosa nell’obbligo di stare a casa esteso a tutta la popolazione.

Le quattro mura iniziano a starmi strette, la consapevolezza che il nemico invisibile può insinuarsi, la paura di non poter controllare e vegliare su chi ami e vive distante, i carri militari di Bergamo in fila nel trasporto delle salme, la strafottenza, mi atterriscono come una paura silenziosa e subdola che mi viene a far compagnia tutte le notti, sul cuscino, tra le pieghe delle lenzuola, mi segue sul divano, e mi spia dalla finestra.

Sto bene e posso dirlo anche per i miei cari ma per quanto ancora?

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